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Astroparticelle - NewsAPi News
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In volo verso Nord

Introduzione

Del problema della radiazione ionizzante nei voli in alta quota ne abbiamo parlato in diverse occasioni, questa volta grazie alla collaborazione con Sabrina Mugnos e Luca Guallini (vedi box a lato) abbiamo "toccato con mano" la quantità di particelle che si creano in atmosfera su interazione coi raggi cosmici che arrivano dallo spazio.

La misura riguarda il viaggio dall'Italia alla Lapponia, in occasione di una spedizione per osservare e studiare le aurore polari, il volo è avvenuto in due tappe: Malpensa-Helsinky e Helsinky-Ivalo. A differenza di altre esperienze simili, la misura è durata per tutto il tragitto dei voli raccogliendo dati molto interessanti.

Il rivelatore utilizzato è un dosimetro chiamato AMD12SM, in pratica un rivelatore di radiazione ionizzante sensibile a particelle con energie dai 100 keV dei raggi X alle cannonate (ben oltre i MeV) dei raggi cosmici.

 

 

I dati delle rotte di volo sono fornite da FlightAware.

 

Raggi cosmici in alta quota

Gli aerei di linea sono costretti a seguire rotte a un'altitudine compresa tra i 10000-11000 metri, dato che a questa elevazione la densità dell'aria è ridotta e quindi i motori sono più efficienti e consumano meno carburante. Sfortunatamente questa è la quota in cui la radiazione ionizzante prodotta dai raggi cosmici raggiunge il suo massimo livello che generalmente si assesta intorno ai 15000 metri.

Radiazione ionizzante significa radioattività che il nostro corpo è costretto ad assorbire e a combattere per correggere i danni che essa produce.

A terra siamo protetti dall'atmosfera che assorbe molta dell'energia delle particelle cosmiche, ma man mano che si sale in quota, anche in alta montagna, la radioattività assorbita aumenta progressivamente, tuttavia è nei voli di linea che diventa un vero e proprio problema, principalmente per i piloti e per gli assistenti di volo.

 

Sabrina Mugnos indica il rapido lampeggiare dei led alla quota di 'crociera'
sintomo dell'alto numero di particelle (a 11000 m, circa 500 al minuto!).

 

Risultati

Il rivelatore è rimasto in funzione durante i voli: Malpensa>Helsinky, Helsinky>Ivalo e Helsinky>Malpensa durante il ritorno. Il grafico seguente ci mostra un'anteprima della radiazione ionizzante registrata durante i viaggi. Le analisi prese in considerazione in questa esperienza riguardano solamente i voli di andata, dato che è facile immaginare che quelli di ritorno seguano un andamento analogo ma simmetrico.

 

Raggi cosmici (conteggi al minuto) in funzione del tempo di trasferimento.

 

Le caratteristiche che spiccano dal grafico sono sostanzialmente un paio; una è la quantità media di particelle che in volo aumenta di almeno 25 volte rispetto ai dati di partenza, l'altra è che l'andamento dei raggi cosmici nei tre voli segue un disegno alternato a "dente di sega". Sapendo che il numero di particelle dipende principalmente dalla quota, si sarebbe portati a pensare che l'andamento è dovuto alla rotta di volo che aumenta progressivamente la sua altitudine.

I prossimi due grafici ci fanno capire che non è così, raggiunta l'altitudine di crociera, la quota di volo si mantiene costante - intorno a 11000 metri - per tutto il tragitto, mentre le particelle aumentano costantemente e progressivamente, il che ci fa intuire che ci deve essere un altro motivo che causa l'aumento.

 

L'altitudine di volo (in rosso) a confronto con il livello di raggi cosmici in aumento (in blu)
durante il volo Malpensa Helsinki.

 

L'altitudine di volo (in rosso) a confronto con il livello di raggi cosmici (in blu), meno evidente
ma anche qui in aumento durante il volo Helsinki-Ivalo.

 

Per scoprire cosa fa aumentare il numero di particelle, dovremmo ripercorrere un pezzo di storia sulla scoperta dei raggi cosmici, ma per questioni di spazio ne riportiamo una breve cronaca. Negli anni venti e trenta del secolo scorso ci furono feroci dibattiti sulla natura di queste particelle, e l'ipotesi era divisa su una semplice questione: le particelle avevano o non avevano una carica elettrica?

Che il nostro pianeta si comporta come un grosso magnete era noto fin dal 1600 grazie a William Gilbert che col suo modello di terrella ipotizzò correttamente che la Terra doveva avere al suo interno qualcosa di molto simile a una calamita.

Le particelle con carica elettrica che si muovono in un campo magnetico vedono deviare la loro traiettoria dalle forze elettromagnetiche (forza di Lorentz). Gli studiosi dei raggi cosmici del secolo scorso erano impegnati a dimostrare se queste particelle fossero prevalentemente cariche (come i protoni e gli elettroni) o neutre (come i fotoni).

Le indagini erano diffusamente condotte in mare, a terra e in volo; i risultati di Clay, Compton, Stormer e altri non lasciarono dubbi: il dipolo magnetico della Terra deviava (e devia) le particelle verso i poli e perciò le particelle primarie dei raggi cosmici dovevano avere una carica elettrica (e oggi sappiamo che sono principalmente protoni). Se con il nostro rivelatore in aereo partissimo dall'equatore (latitudine 0°) e ci dirigessimo verso il polo Nord o Sud, ricaveremmo un andamento simile al grafico riportato qui sotto dove la radiazione aumenta progressivamente fino al 60° parallelo, in seguito le linee di forza del campo magnetico sono "troppo inclinate" per avere effetto sulle particelle e avviene quello che in gergo tecnico viene definito cut-off, un taglio netto dove qualsiasi particella può penetrare il campo magnetico ed è arrestata solo dall'atmosfera. Questo effetto oggi è classificato come "effetto di latitudine", ma per completezza va detto che l'asse magnetico terrestre è inclinato di circa 11° rispetto all'asse di rotazione e questo crea anche un effetto di longitudine sul flusso di particelle cosmiche misurate a terra.

 

References: Peter K.F. Grieder - COSMIC RAYS AT EARTH
Researcher’s Reference Manual and Data Book - Elsevier 2001.

 

Ora avendo un quadro più chiaro possiamo vedere come plottando insieme la latitudine e il flusso di particelle, queste aumentano di pari passo.

 

Latitudine (in rosso) a confronto con il livello di raggi cosmici (in blu)
durante il volo Malpensa Helsinki.

 

Latitudine (in rosso) a confronto con il livello di raggi cosmici (in blu) durante il volo Helsinki Ivalo,
l'andamento dei cosmici ad alta quota qui può sembrare più piatto.

 

La tendenza si può rendere più evidente utilizzando solo i dati di volo sopra a 10000 metri di quota, in questo modo un'analisi di regressione lineare evidenzia che la differenza tra Malpensa e Helsinki in funzione della latitudine si aggira intorno a un aumento del 30%.

 

Analisi di tendenza dei raggi cosmici in funzione della latitudine (Malpensa Helsinki).

 

 

Analisi di tendenza dei raggi cosmici in funzione della latitudine (Helsinki Ivalo).

 

Come visto sopra l'aumento viene smussato al 60° di latitudine, tuttavia registriamo anche nel caso del secondo volo un aumento che anche se inferiore si aggira intorno al 7%. Il significato è che da qui in poi il campo magnetico terrestre risulta sempre meno efficace nello schermare le particelle dei raggi cosmici.

 

La dose di radioattività

Il termine per quantificare i livelli di radioattività a cui si viene esposti è chiamato "dose" e indica la quantità di energia accumulata per quantità di materia. Possiamo calcolare questo valore partendo dai dati del nostro rivelatore andando a vedere quanti eventi/particella sono stati registrati. L'analisi dei dati sopra a 10000 metri di quota indica un conteggio medio (vedi sotto) di circa 500 particelle al minuto. La media è infatti di 512.25 per il tratto Helsinki Ivalo e 495.88 per il tratto Malpensa Helsinki.

Il rivelatore in questione espone una superficie di circa 10 cm2 quindi conta circa 50 particelle al minuto per ogni cm2, se consideriamo che un corpo umano espone una superficie tra, diciamo 1,5 e 2 m2 quando voliamo in aereo siamo attraversati dalla bellezza di 12500-16600 particelle ionizzanti ogni secondo!

 

 

Analisi dei due voli con un conteggio leggermente superiore per il volo più a nord.

 

L'unità di misura della dose assorbita è il Gray (Gy) e della dose equivalente il Sievert (Sv). La seconda differisce dalla prima perchè considera anche la pericolosità in base alla tipologia delle singole particelle, ad esempio una particella alfa ionizza molto di più di un elettrone o di un fotone ed è perciò più pericolosa.

Questa mini applicazione è stata creata appositamente per il rivelatore AMD12SM e calcola i livelli di dose a partire dal conteggio medio al minuto.

 

 

Calcolo della dose assorbita.

 

Se si inserisce il valore "500", il risultato della dose assorbita risulterà intorno a 3 µGy/h, mentre quella equivalente (la valutazione è complessa per via della diversa natura delle particelle, qui considerata per soli beta, gamma e muoni) sarà di 9 µSv/h. Questi valori andranno moltiplicati per ogni ora di esposizione (durata del volo). Il risultato si potrà confrontare con varie tabelle per avere un paragone qualitativo dell'esposizione:

Dose assorbita in varie analisi mediche (origine sconosciuta).

 

 

Conclusione

Le analisi dei dati ottenuti potrebbero continuare per indagare su altri aspetti dei raggi cosmici in atmosfera, per ora ci è sufficiente aver sottolineato l'importanza del campo magnetico terrestre che insieme allo spessore di atmosfera ci protegge dalla radiazione cosmica.

 

Immagine di una aurora boreale ripresa da Sabrina Mugnos
durante una delle sue periodiche spedizioni.

 

Oltre a questo effetto di deviazione dei raggi cosmici verso i poli, il campo geomagnetico ci regala le magnifiche aurore polari, particelle di energia molto inferiore a quelle dei raggi cosmici che non raggiungono il suolo ma eccitano per fluorescenza gli atomi dell'aria, uno spettacolo della natura che pochi pianeti del sistema solare possono vantare.

 

Marco Arcani

 

 

 

 


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Astroparticelle - schegge per lo sviluppo della conoscenza...


Sabrina Mugnos si è laureata in geologia con indirizzo geochimico – vulcanologico presso l’Università degli Studi di Pisa.
Divulgatrice scientifica di lunga esperienza (tiene spesso conferenze, corsi, workshop e convegni a respiro internazionale) ha al suo attivo la pubblicazione di dieci libri e un dvd, nei quali spazia dalle tematiche geologiche a quelle fisiche, astronomiche e archeologiche, dove i suoi testi sono stati stampati e apprezzati anche all’estero.
Giornalista freelance, proprio grazie alla sua grande comunicatività è stata ed è spesso ospite di trasmissioni sulle maggiori emittenti televisive e radio, ed ha girato due reportage con la Rainews sull’ultimo terremoto dell’Emilia e sullo stato di attività dei vulcani italiani.
Assidua viaggiatrice ed esploratrice, anche nel mondo dei social network entusiasma migliaia di persone per le quali è diventata un punto di riferimento quale figura professionale con uno spiccato risvolto umanistico. È possibile seguire la sua attività, presente e passata, sul suo profilo Facebook (e su diverse altre pagine), sul suo sito internet e sul suo Canale Youtube.
(www.sabrinamugnos.com).


Luca Guallini si è laureato in geologia presso l’Università degli Studi di Genova ed ha conseguito il Dottorato di Ricerca in geologia planetaria presso l’Università d’Annunzio di Chieti- Pescara, dove ha successivamente proseguito le sue ricerche.
Ha lavorato come geologo planetario presso il Space Research & Planetary Sciences Department (Istituto di Fisica, Università di Berna, Svizzera).
Autore di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, è stato relatore di numerosi congressi scientifici nazionali e internazionali. Da diversi anni, ormai, collabora con la geologa e scrittrice Sabrina Mugnos, prendendo parte ai suoi numerosi viaggi naturalistici intorno al mondo e alle sue diverse attività di divulgazione e stesura di testi.


Muon Monitor in real time



AMD12SM

Detector-dosimeter

I rivelatori della serie AMD (Astroparticle Muon Detector) sono rivelatori costruiti con tubi di Geiger e Müller (GMT), il numero identificativo indica una diversa tipologia di costruzione e di utilizzo. Dal 2010 sono stati costruiti decine di modelli derivati da 13 prototipi diversi. Il loro funzionamento per rivelare i raggi cosmici (prevalentemente muoni) è fondato sul "metodo delle coincidenze" tra due o più sensori ed è stato ideato da Walther Bothe e Bruno Rossi negli anni trenta.
AMD12SM utilizza un solo sensore GMT, quindi oltre ai muoni rivela molte altre particelle; lo strumento infatti è stato concepito per le misure in volo dove la radiazione ionizzante è sostanzialmente causata dai raggi cosmici.


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