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RADIAZIONE COSMICA AD ALTA QUOTA

RADIAZIONE COSMICA AD ALTA QUOTA

 

I RAGGI COSMICI IN ALTA MONTAGNA

di Marco Arcani

Le astroparticelle sono particele sub-nucleari emesse da diverse sorgenti nel cosmo tra cui supernove e buchi neri, l’impatto di queste particelle sull’atmosfera terrestre, provoca una pioggia ininterrotta di moltissime altre particelle, una vera doccia radioattiva che si propaga dalla stratosfera fino al suolo. A livello divulgativo questa radiazione viene di solito e giustamente etichettata dagli esperti come innocua, perché tra i compiti principali di uno scienziato o di un divulgatore scientifico vi è quello di diffondere la conoscenza senza alimentare inutili preoccupazioni. Nel presente articolo viene esposto con metodo scientifico il fenomeno dei raggi cosmici dal punto di vista radioattivo per capire quale sia la realtà dei fatti e quali i rischi reali per chi frequentando alti lidi è esposto a questa radiazione; con riferimento per esempio alle guide alpine che stazionano per lunghi periodi in alta montagna. Alcuni rilevamenti dell’autore suggeriscono infatti che la radiazione aumenta sensibilmente sopra i 3000 m di quota; i valori di radiazione ad alta quota e in varie località ricavate da un sofisticato modello di calcolo, ci permettono di capire se e quanto può essere pericolosa la radiazione cosmica in alta montagna.

crab nebula

■ Pericoli Invisibili

Oltre ai pericoli geofisici come valanghe e smottamenti in alta montagna, alpinisti ed escursionisti conoscono bene altre minacce più silenziose. Una è quella dell’anossia, ovvero la mancanza di ossigeno collegata alla diminuzione della pressione atmosferica che oltretutto fa aumentare la pressione sanguigna del corpo. Un’altra minaccia è quella della radiazione solare e in particolare di quella ultravioletta che aumenta al diminuire della barriera prodotta dallo strato atmosferico. Da questi due problemi comunque ci si può in parte proteggere, nel primo caso con l’adattamento e nel secondo caso utilizzando vestiti adeguati e occhiali o maschere da sole con protezione contro i raggi UV. Esiste però un altro pericolo meno conosciuto: la radiazione prodotta dai raggi cosmici. In generale quando si pensa alla radioattività il pensiero va alle bombe atomiche e ai disastri provocati da incidenti nucleari; questo per via di un retaggio ben radicato nella nostra cultura alimentato dalle guerre mondiali e dagli esperimenti successivi.

La radioattività è però un fenomeno naturale in cui siamo quotidianamente inseriti fin dagli albori dell’umanità, quasi ogni elemento infatti è leggermente radioattivo, dai muri della propria abitazione al cibo di cui ci nutriamo. Il termine radio-attività è stato coniato da Marie Curie che aveva scoperto alcuni nuovi elementi capaci di emettere particelle tra cui appunto il radio. Radioattività significa dunque che un nucleo atomico di un elemento instabile perde energia sotto forma di particelle ionizzanti. L’energia è prodotta ad esempio dai fotoni (raggi gamma), ovvero energia elettromagnetica emessa dal materiale radioattivo, oppure sotto altre forme di energia come quella cinetica trasportata da particelle cariche come elettroni (raggi beta) o da nuclei di elio (raggi alfa). Semplificando si può dire che qualsiasi particella libera di muoversi nell’aria e accelerata può produrre direttamente o indirettamente azioni ionizzanti e quindi radioattività. Non fanno eccezione le astroparticelle o raggi cosmici, particelle che piovono continuamente in atmosfera a velocità prossime a quella della luce.

flusso astroparticelle

Figura 2 - Flusso dei raggi cosmici in funzione dell’energia. L’energia delle particelle si misura in eV (elettronvolt), 1 eV corrisponde a circa 1.602 × 10-19 Joule (grafico fornito dall’Università di Chicago).

Quando furono scoperti i raggi cosmici era ancora incerta la loro natura, cioè non si sapeva se fossero particelle cariche, neutre o radiazione elettromagnetica (come i raggi X o gamma) e furono quindi battezzati dal fisico statunitense Robert Millikan: Cosmic Rays (Raggi Cosmici). Invece Victor Hess, il fisico Austriaco che nel 1912 scoprì i raggi cosmici (una ventina d’anni dopo la scoperta della radioattività) nelle sue pubblicazioni utilizzava il termine: Kosmische Strahlung (letteralmente radiazione cosmica), una nomenclatura decisamente più corretta. Infatti ci vollero circa altri venti anni per capire che nel flusso dei raggi cosmici che ora chiamiamo primari, ovvero quelli che raggiungono il nostro pianeta dalle sorgenti cosmiche, i raggi gamma sono solo una minima parte. La particella più abbondante nei raggi cosmici è invece il protone, questo perché tale corpuscolo è il nucleo dell’atomo dell’idrogeno, cioè il materiale più semplice e diffuso nell’universo. Il protone è una particella con carica elettrica +1, molto pesante (circa 1800 volte l’elettrone) ed è stabile, quindi ha possibilità di propagarsi nello spazio e raggiungere la Terra anche da sorgenti estremamente lontane.

La radiazione cosmica proviene principalmente dall’interno della nostra galassia, per questo i raggi cosmici sono generalmente chiamati galattici o GCR (Galactic Cosmic Rays). I GCR provengono da sorgenti celesti come le supernove (figura 1 di apertura) e i buchi neri o altri eventi esplosivi come l’unione di stelle di neutroni. Bisogna anche considerare che le comuni stelle come il Sole durante la loro normale attività disperdono materia nello spazio sotto forma di un fiume di particelle chiamato vento solare. Le particelle del vento solare però non hanno grandi energie (dai KeV a pochi Mev) e sono al massimo responsabili della formazione delle aurore polari. Il ciclo di attività del Sole comunque modula attraverso il proprio campo magnetico il flusso dei GCR e siccome il Sole è una stella variabile (figura 3) con un ciclo di circa 11 anni il flusso di particelle cosmiche risente di questa modulazione solare. Ne segue che in periodi in cui il Sole si trova ai massimi livelli di attività, il proprio campo magnetico produce una schermatura verso i GCR proteggendo in parte la Terra da tale radiazione. Il rovescio della medaglia è che nei periodi in cui il ciclo solare raggiunge il suo culmine, sono più probabili da parte del Sole emissioni di particelle relativistiche tramite i brillamenti (solar flares) o i CME (coronal mass ejection). Questi raggi cosmici solari sono definiti SPE[1] (solar particle event) e avendo grandi energie possono penetrare l’atmosfera terrestre sommandosi ai raggi cosmici galattici. Inoltre poiché l’intensità di particelle in questi casi è elevata, possono causare grossi problemi elettromagnetici a terra: sono le cosiddette tempeste magnetiche solari.

sole-1.jpg

Figura 3 - Due immagini del Sole distanziate di 11 anni ovvero un intero ciclo solare, a sinistra immagine del 28.10.2003 durante un periodo di intensa attività solare e a destra immagine del 8.01.2014. Il numero di macchie solari indica l’alto livello di attività solare
(immagini NASA).

La collisione tra le particelle primarie (principalmente protoni) e gli atomi dell’atmosfera terrestre agisce esattamente come la collisione tra particelle nei collisori artificiali per esperimenti nucleari, ovvero causa una grande esplosione energetica con produzione di numerose altre particelle, chiamate secondarie e di diversa natura, tra cui compaiono mesoni, barioni, muoni, elettroni e fotoni gamma. Dato che la collisione avviene prevalentemente ad un’altitudine tra i 20.000 e i 30.000 m è facile immaginare che le particelle sono presenti maggiormente alle alte quote, per poi diminuire progressivamente al diminuire della quota. Il flusso di particelle in atmosfera si propaga dall’alto verso il basso a cono, si può immaginare come il cono di una a doccia. La maggiore quantità di particelle e quindi di radiazione si trova intorno ai 10.000-11.000 metri (figura 4), proprio la quota seguita dai normali voli commerciali. L’atmosfera per nostra fortuna assorbe la maggior parte di questa radiazione cosmica e al suolo (livello del mare) la composizione principale di particelle è data dai muoni, elettroni e da pochissime particelle pesanti tra cui i neutroni.

Il grafico di figura 2 serve per comprendere che l’energia misurata nel flusso dei raggi cosmici (fuori dall’atmosfera) cambia in funzione dell’energia della singola particella primaria. Si noti che particelle di energia intorno ai 100 GeV ne arrivano una al secondo per m2 mentre intorno al Pev ne arriva una per m2 all’anno fino ad arrivare agli EeV con una particella al km2 all’anno.

Riassumendo, la radiazione totale in atmosfera è quindi data dalla somma di quella prodotta dai raggi cosmici galattici, più quella prodotta dai raggi cosmici solari da sommare a quella prodotta da isotopi naturali (come il gas radon) e artificiali (isotopi da centrali termonucleari ed esperimenti militari). A questo va sommata anche la presenza di raggi gamma prodotti da fulmini o altri fenomeni elettrici non ancora ben compresi.

flusso raggi cosmici

Figura 4 - A) Altitudine in funzione della pressione espressa in g/cm2, 200-300 g/cm2 corrispondono a circa 11.000-10.000 metri. B) Intensità delle principali particelle in funzione della pressione/altitudine. C) Flusso dei neutroni di bassa energia in funzione della pressione/altitudine. D) Intensità dei muoni in funzione della pressione/altitudine. (fonte immagini: Peter K.F. Grieder [4]).

■ Effetto Geomagnetico

Considerando particelle elettricamente cariche come i protoni, bisogna introdurre un altro argomento, cioè quello del campo magnetico terrestre. La Terra è come un grosso magnete con il polo nord magnetico situato vicino al polo sud geografico e il polo sud magnetico quasi in corrispondenza del polo nord geografico; le particelle cariche che si muovono in un campo magnetico vengono deviate in funzione di una legge (Forza di Lorentz) dell’elettromagnetismo di Maxwell.

magnetic-vanallen.jpg

Figura 5 - Il campo magnetico terrestre (linee tratteggio azzurro) e le fasce di Van Allen (bande colorate in azzurro).

Senza entrare nei dettagli, l’effetto che produce il campo magnetico sulle particelle cariche è uno sbarramento che si manifesta nella zona equatoriale dove le linee di campo magnetico sono praticamente parallele alla superficie terrestre (figura 5). Quindi le particelle che arrivano alle basse latitudini vengono limitate, mentre verso i poli dove le linee di campo sono praticamente perpendicolari alla superficie (parallele alla direzione di moto delle particelle), lo sbarramento è nullo. Questo è anche il motivo per cui il fenomeno delle aurore è visibile solamente nelle zone circumpolari. Il fatto che l’asse del campo magnetico sia di 11 gradi disallineato dall’asse di rotazione terrestre (figura 5) produce delle zone variabili nel flusso dei raggi cosmici a terra che sono delimitate da linee chiamate isocosme (figura 6) in cui a latitudini differenti la radiazione cosmica può avere gli stessi valori. Da tenere presente che il campo magnetico non blocca affatto le particelle di alta energia (o rigidità magnetica) che sono più pericolose, ma fortunatamente sono anche più rare (figura 2); mentre riduce l’intensità di quelle a bassa energia, infatti solo particelle sopra ad una certa soglia di energia possono penetrare all’equatore, quelle di energia inferiore vengono respinte o deviate. La soglia all’equatore per i protoni primari è di circa 15 GeV. In conclusione l’intensità dei raggi cosmici aumenta dall’equatore verso i poli con una variazione del 15-30% a seconda della latitudine (figura 7). Questo significa che a parità di quota, la radiazione è maggiore ad esempio sulle Alpi (45°N) rispetto al Kilimangiaro (3° S).

cutoff-1.jpg

Figura 6 - Distribuzione verticale delle particelle in funzione della latitudine per diversa rigidità magnetica. La rigidità magnetica è la forza che la particelle oppone al campo magnetico che tende a deviarla ed è direttamente proporzionale all’energia (fonte immagine: J. Mertens [1]).

Come precedentemente accennato, il campo geomagnetico è influenzato dal campo magnetico del Sole e del vento solare, specialmente in caso di intensa attività solare. Le particelle del vento solare normalmente vengono intrappolate all’interno del campo magnetico della Terra in due regioni[2] toroidali concentriche (figura 3) chiamate fasce di Van Allen, in onore del fisico James Van Allen che nel 1958 confermò la loro esistenza. Durante le tempeste solari, le particelle cariche vengono iniettate dalla magnetosfera esterna verso le fasce di Van Allen causando (tramite un complesso meccanismo) un’ulteriore diminuzione del campo magnetico terrestre. Questo fa precipitare altre particelle dalla magnetosfera verso gli strati alti dell’atmosfera aumentando perciò la radiazione in atmosfera e causando aurore intense e interferenze nelle comunicazioni radio.

cutoff-1_cratearth-elsevier.jpg

Figura 7 - Variazione dell’energia in funzione della latitudine. Le linee del grafico considerano anche particelle incidenti con angolo di zenith (θ) differente. (Rossi e Olbert 1970 in accordo con i dati di St�rmer [4])

■ Misurare la radioattività

I rivelatori per determinare la quantità di radiazione sono di diversa natura e nel corso degli anni divenuti particolarmente sofisticati, poiché è un argomento complesso che rischierebbe di portarci fuori tema, si può semplicemente considerare un rivelatore come un apparecchio che trasforma gli effetti prodotti da particelle attraversanti un mezzo (solido o gassoso), in impulsi elettrici che è possibile misurare elettronicamente. Tra i tipi principali di rivelatori utilizzati ci sono quelli a gas, come i classici contatori di Geiger-Müller basati appunto sulla ionizzazione di un gas e poi gli scintillatori, che come mezzo possono utilizzare sia elementi solidi che liquidi o gassosi e sono basati sull’eccitazione (diseccitazione) molecolare di specifici materiali.

Le unità di misura correntemente utilizzate nel sistema internazionale per quanto riguarda la radioattività sono il Becquerel (Bq), il Gray (Gy) e il Sievert (Sv). Il Bq corrisponde ad una disintegrazione al secondo di un radionuclide, il Gy invece è espresso come quantità di enegia in Joule su 1 Kg di materia (qualsiasi) e si definisce dose assorbita. Quando si parla invece di radiazione su esseri umani si usa il Sv o meglio i suoi sottomultipli (mSv: milli-sievert e μSv: micro-sievert). Il Sv infatti tiene conto dei danni provocati dalla radiazione in base al tipo di irraggiamento (particella) e agli organi colpiti. Si parla di dose equivalente quando si considerano i vari tipi di radiazione e di dose efficace quando si considerano specifici organi o tessuti. Uno strumento in grado di fornire i valori di dose assorbita equivalente o efficace è chiamato dosimetro. La misura della dose di radiazione efficace dà quindi un’idea degli effetti in modo assoluto, per questo è ammesso ad esempio confrontare una schermografia a raggi X con una esposizione ai raggi cosmici anche se causate da particelle di natura completamente diverse. Questo però può essere fatto solo attraverso strumentazione di misura estremamente complessa che deve poter registrare i valori di radioattività per specifiche particelle tenendo conto della composizione “chimica” del flusso dei raggi cosmici che varia con la quota.

Quello che voglio evidenziare è che non si può utilizzare un dosimetro progettato e costruito per misurare isotopi radioattivi da fall-out come cesio, potassio o altro e misurare il valore di radiazione equivalente portando lo stesso strumento in alta montagna o sugli aerei perché otterrebbe valori inesatti, anche se magari vicini e indicativi del flusso di radiazione. In una spedizione in mongolfiera [7] ad esempio il dosimetro in dotazione (nato per la misura di isotopi radioattivi), ad un’altitudine di 6000 m ci aveva fornito valori di 0,602 μSv/h, un valore sottostimato se confrontato con i 0,840 μSv/h ricavati da altre fonti affidabili (tabella 1). In pratica ogni contatore Geiger o dosimetro è uno strumento a sé, per questo motivo vengono spesso utilizzati come valore di misura semplicemente gli impulsi al secondo cps (count per second) o al minuto cpm (count per minute) perché in questo caso si contano le singole particelle che attraversano gli strumenti ed è eventualmente possibile in seguito elaborare i risultati trasformandoli in Sv.

La tabella 1 mostra un confronto tra vari tipi di esposizione radioattiva, compresi quelli a cui ogni individuo è sottoposto ogni anno.

SORGENTE

DOSE MEDIA ANNUA (o come indicato)

VIAGGIO IN AEREO DI 5 ORE

0.03 mSv (i.e. Londra - New York)

VIAGGIO DI 9 GIORNI SULLO SPACE SHUTTLE

4.1 mSv (STS-91 [2])

IN MONGOLFIERA A 6000 m (latitudine 45°)

0.00084 mSv/h [CARI6] e 0.000602 mSv/h [8,10]

RADIAZIONE COSMICA IN ALTA MONTAGNA (e.g. P.ta Nordend 4.609 m)

3.67 mSv [CARI6]

RADIAZIONE COSMICA A LIVELLO DEL MARE (media)

0.3 mSv

RADIAZIONE DAL SUOLO

0.29 mSv

INTERNA AL NOSTRO CORPO

0.4 mSv

MANGIARE UNA BANANA

0.0001 mSv

GAS RADON NATURALE

2 mSv

RADIOGRAFIA AL TORACE

0.08 mSv

PER T.A.C.

10 mSv

VIAGGIO SU MARTE ANDATA E RITORNO E SOGGIORNO DI 500 GIORNI

circa 1 Sv (totale)

DOSI FATALI

da 2 Sv/h in su

Tabella 1 - Dosi di radiazione assorbita da un individuo durante un anno, o come riportato ([5] e varie fonti).

■ I modelli di simulazione e previsione

Nel corso degli ultimi anni sono stati fatti grandi progressi nello sviluppare modelli matematici per rappresentare la radiazione in funzione della quota tenendo in considerazione le particelle SPE e quelle dei GCR oltre ai raggi gamma naturali presenti in atmosfera. I modelli infatti tengono conto dei valori dati da satelliti, palloni stratosferici, rivelatori di neutroni e muoni a terra e dai voli in aereo appositamente progettati per la misura di radiazione in atmosfera.

Per determinare il flusso di particelle del vento solare fuori dall’atmosfera, le misure sono affidate ai satelliti ACE (Advanced Composition Explorer) e NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e ai satelliti come AGILE e FERMI (e altri) per determinare invece il flusso dei raggi cosmici primari. Per le misure in atmosfera si utilizzano i dati dei palloni stratosferici e i dati dei voli aerei con a bordo fantocci appositamente studiati. Questi fantocci o dosimetri sono costruiti per simulare esattamente la composizione chimica dei vari organi umani e studiarne gli effetti una volta esposti alla radiazione in alta quota. Un esempio di questo tipo di rivelatori sono i TEPC (Tissue Equivalent Proportional Counter) (figura 8) che sono stati montati su un migliaio di voli di alcune compagnie aeree riportando importanti misure in voli sia nelle rotte Nord che in quelle dell’emisfero australe. I dati ricavati oltre a determinare i dosaggi di radiazione realmente assorbiti, servono per il confronto con i modelli di simulazione esistenti (che hanno mostrato uno scarto di pochi punti percentuali, quindi estremamente affidabili) e per lo sviluppo di nuovi modelli di calcolo.

I monitor di neutroni (figura 9) impiegati per i rilevamenti a terra, sono stati ideati da John Simpson negli anni 1948÷1950, sono generalmente composti da grossi tubi riempiti di un gas sotto pressione a base di boro (BF3) e i tubi sono annegati in un basamento di piombo e cemento che li isola dalla radiazione ambientale, dato che lo scopo è di misurare solo i neutroni “cosmici“. Nonostante negli sciami atmosferici sia prevalente la radiazione di particelle elettricamente cariche, i monitor di neutroni sono fondamentali per determinare i valori di rigidità magnetica delle particelle in funzione di altitudine e latitudine (i dati di figura 6), essi infatti hanno il vantaggio di misurare il flusso di particelle a bassa energia ed ottenere uno spettro di rilevamento più allargato; le particelle cariche invece perdono gran parte della propria energia in atmosfera per via delle interazioni elettromagnetiche e quelle a bassa energia vengono completamente assorbite. I monitor di neutroni così come quelli di muoni sono distribuiti a varie quote su tutto il pianeta (figura 9) e danno un grande contributo a ricerche di varia natura come ad esempio quelle meteorologiche e geofisiche.

figura3_nm64_jungfraujoch.jpg

Figura 9 - Monitor di neutroni di tipo NM64 all’Osservatorio Sphinx dello Jungfraujoch (in Svizzera) a 3500 m di quota (cortesia Rolf Bütikofer e Erwin O. Flückiger).

figura-4.jpg

Figura 10 - Distribuzione dei monitor di neutroni fornita dal Neutron Monitor DataBase (NMDB: http://www.nmdb.eu/), tra i quali quello dell’Osservatorio SVIRCO (Studio Variazioni Intensità Raggi Cosmici) di Roma.

L’organizzazione di tutti i dati ricavati dai vari strumenti in orbita e a terra ha permesso la creazione di diversi modelli di simulazione e previsione tra cui:

EPCARD, che utilizza un codice di Monte Carlo (FLUKA), uno tra i più attendibili sistemi di simulazione di raggi cosmici in atmosfera.

PC-AIRE un modello semi-empirico basato su dati misurati, utilizzabile per determinare la radiazione assorbita in volo. Funziona on-line registrandosi (http://flyer.pcaire.com/).

AIR, sviluppato da qualche decina di anni dalla NASA utilizza dati misurati da centinaia di voli in aereo e palloni stratosferici integrati in un codice teorico.

NAIRAS (Nowcast of Atmospheric Ionizing Radiation for Aviation Safety) [1], uno dei modelli più completi e di ultima generazione per la determinazione della dose di radiazione assorbita in particolare nei voli aerei. NAIRAS è stato creato con l’obiettivo di monitorare in tempo reale (http://sol.spacenvironment.net/~nairas/index.html) i livelli di radiazione dal suolo fino a 100 km di quota (figura 11).

CARI, sviluppato dall’Amministrazione Federale per l’Aviazione (FAA) in USA, tramite il quale è possibile fare simulazioni di volo oppure inserire località ed elevazione, e quindi calcolare la dose di radiazione assorbita (CARI tuttavia non tiene conto di eventuali eventi SEP). Esistono diverse versioni di CARI tra cui CARI-6 e CARI-6M che sono scaricabili liberamente (http://www.faa.gov/data_research/research/med_humanfacs/aeromedical/radiobiology/).

Quest’ultimo è il modello che è stato impiegato per ottenere i valori riportati in queste pagine. Vorrei sottolineare che utilizzare i modelli di simulazione non significa applicare meri calcoli matematici, significa piuttosto utilizzare una mole incredibile di dati, ottenuti tramite esperimenti creati grazie allo sforzo di numerosi scienziati, ingegneri, tecnici e ricercatori e orchestrati certo con metodi statistici e matematici.

figura4-tepc.jpg

Figura 8 - Dosimetro TEPC (Cortesia Peter Beck [3]).

■ Le misure in vetta

Misurando con dosimetri la dose di radiazione assorbita in montagna si può notare che fino a 3000 metri non si riscontrano grandi differenze rispetto a quote più basse, questo perché la radiazione totale che lo strumento rivela è la somma di quella cosmica più quella terrestre (dall’aria e dal suolo). A livello del mare quella cosmica incide di un valore intorno a 11% sul totale, ma salendo in quota la percentuale aumenta progressivamente. Quella terrestre invece varia a seconda del tipo di suolo e della qualità dell’aria. Sopra i 3000 m comunque l’aumento di radiazione dovuta ai raggi cosmici è sensibile e persistente (figura 12), per questo l’indagine si focalizzerà su vette dai 3000 metri in su.

I luoghi presi in considerazione sono rifugi e basi scientifiche o di appoggio per scalate, abitualmente frequentati. In questi siti il soggiorno per i visitatori può durare giorni o mesi, mentre per le guide montane e i ricercatori anche tutto l’anno.

plateaurosa.psd

Figura 12 - Misure di radioattività eseguite dall’autore all’Osservatorio Testa Grigia (Plateau Rosa) a 3400 m di quota.

La tabella 2 raccoglie le località considerate con i valori di radiazione cosmica misurati espressi sia in μSv/h che in mSv/h. Da questa analisi emerge immediatamente la dipendenza della radiazione con l’altitudine. L’effetto di latitudine (geomagnetico) invece si può notare se si confrontano i valori della Capanna Regina Margherita (45°N) con quelli del South Base Camp sull’Everest (28°N) dove i livelli di radiazione sono praticamente gli stessi nonostante gli oltre 800 metri di differenza di quota. L’effetto geomagnetico è altrettanto evidente se si confrontano i valori registrati per il rifugio Kibo Hut del Kilimangiaro, nella zona equatoriale (3°S, 4700m), con quelli ad un’altitudine simile ma più a nord come ancora la Capanna Regina Margherita (45°N, 4556 m): qui la radiazione è del 31% superiore rispetto a quella del Kibo Hut. I valori in tabella ci dicono anche che l’effetto di latitudine è evidente solo ad alta quota, infatti nella base russa al Polo Nord la radiazione ha il livello più basso in assoluto nonostante la barriera geomagnetica sia inesistente, questo semplicemente perché la base è situata al livello del mare. Infatti una simulazione nello stesso luogo ma ad una quota pari a quella della Capanna Margherita ha mostrato valori di 0,50 μSv/h.

Infine è interessante il confronto tra i valori realmente misurati all’osservatorio Testa Grigia (figura 12) con quelli riportati in tabella 2. Quelli misurati rasentavano i 0,20 μSv/h (grafico C1 di figura 12) mentre quelli previsti da CARI 6 sono di 0,22 μSv/h, un risultato sottostimato dallo strumento ma buono, se si considera che il dosimetro non è nato per misurare esplicitamente i raggi cosmici.

Per quanto riguarda gli aspetti pratici, i valori della tabella 2 si possono utilizzare per simulare una permanenza in un alloggio di quelli elencati (o con caratteristiche geografiche simili) e calcolare la radiazione totale nel periodo considerato. Ad esempio soggiornare per un mese al rifugio Quintino Sella (Monte Rosa), all’osservatorio Sphinx dello Jungfraujoch o alla base concordia in Antartide (anche se quest’ultima differisce di 0,01 μSv) fa assorbire una radiazione pari a 172,8 μSv o 0,1728 mSv (720 ore in un mese moltiplicato per il valore 0,24 della tabella 2), i valori potrebbero essere anche superiori se ci fosse in corso un’attività solare intensa. Per limitare i rischi l’attività del Sole può essere valutata in previsione di una escursione o di una spedizione controllando i valori forniti in tempo reale da NAIRAS (figura 11).Soggiornare negli stessi luoghi considerati sopra per un anno intero fa assorbire 2,07 mSv di radiazione. Come si vedrà nel paragrafo seguente, questo valore è abbastanza alto se si considera che la dose annua totale raccomandata non dovrebbe superare 1 mSv. Per dose totale si intende la somma di quella naturale più quella dei raggi cosmici nella zona in cui si vive, più quella assorbita durante eventuali indagini mediche (tabella 1).

LOCALITA'

ALT. (m)

LATITUDINE/long

DOSE CALCOLATA (CARI6M)

Rifugio Quintino Sella (Monte Rosa)

3585

45°54’ N 7° 47’ E

0.24 μSv/h 0.00024 mSv/h

Capanna Punta Penia (Marmolada)

3343

46°27’ N 11° 52’ E

0.21 μSv/h 0.00021 mSv/h

Osservatorio-Laboratorio Testa Grigia P. Rosa

3440

45°56’ N 7° 42’ E

0.22 μSv/h 0.00022 mSv/h

Capanna Regina Margherita (Monte Rosa)

4556

45°55’ N 7° 52’ E

0.41 μSv/h 0.00041 mSv/h

Rifugio Gonella (Monte Bianco)

3071

45°49’ N 6° 49’ E

0.18 μSv/h 0.00018 mSv/h

Osservatorio Sphinx (Jungfraujoch)

3571

46°32 N 7°59′ E

0.24 μSv/h 0.00024 mSv/h

Rifugio Elena Aconcagua (Ande)

6400

32°38’ S 70°01’ O

0.74 μSv/h 0.00074 mSv/h

Base Concordia (Antartide)

3220

75° 5’ S 123° 20’ E

0.23 μSv/h 0.00023 mSv/h

Camp Barneo (Polo Nord)

1

89°31′ N 30°27′ O

0.04 μSv/h 0.00004 mSv/h

Kibo Hut Kilimangiaro (Tanzania)

4700

3° 4' S 37° 23' E

0.28 μSv/h 0.00028 mSv/h

South Base Camp Nepal (Monte Everest)

5364

28°0′ N 86°51′E

0.40 μSv/h 0.00040 mSv/h

Tabella 2 - Dosi di radiazione assorbita da varie località in Italia e nel Mondo, calcolati in base all’anno 2012. I valori della posizione geografica (lat./long.) sono stati arrotondati per esigenze del software CARI.

nairas5000.png

Figura 11 - I livelli di radiazione a 5.000 m di quota forniti in tempo reale da NAIRAS. L’Italia si trova nella zona in verdino (nel momento in cui è stata presa questa immagine), cioè se ci fossero vette di 5000 m si avrebbero circa 5 μSv/h di radiazione.

■ Dosi misurate e consentite

La direttiva europea Euratom 96/29 sulla radiazione ionizzante stabilisce come limite di sicurezza per i lavoratori esposti, il valore di 100 mSv in un periodo di 5 anni consecutivi che non ecceda i 50 mSv all’anno. Il limite per la popolazione in generale è invece stabilito essere di 1 mSv e i lavoratori minorenni invece non dovrebbero essere esposti a radiazione; le donne in gravidanza e in allattamento non dovrebbero essere sottoposte a rischio di radiazione, mentre gli studenti tra i 16 e i 18 anni di età che per studio siano a rischio radioattivo non dovrebbero superare i 6 mSv per anno.

I lavoratori esposti devono beneficiare della sorveglianza medica come definito dall’Art. 30-37 dalla direttiva Euratom. Dovrebbero inoltre essere forniti controlli medici straordinari, nel caso di superamento della dose limite stabilita [8].

L’Italia segue la direttiva Euratom con il decreto legislativo 241 del 2 maggio 2000 che considera come lavoratori a rischio anche chi opera tra 8000 e 15.000 metri di quota (equipaggi aerei) e che non devono superare il limite di 20 mSv di dose annua, mentre per il resto della popolazione e le gestanti il limite stabilito è sempre di 1mSv [6]. In realtà In Italia esistono due categorie di lavoratori esposti a radiazione, la categoria A che comprende chi in un anno è esposto a radiazione maggiore di 6 mSv di dose efficace, con altri parametri per specifici organi, e la categoria B per chi è esposto a dosi sopra 1 mSv ma che non appartenga alla categoria A. Questo significa che una guida montana o un ricercatore potrebbe rientrare nella categoria A se ad esempio soggiornasse in luoghi come nell’esempio esposto precedentemente, ma poiché la mia competenza esula dagli aspetti legali, per chi fosse interessato consiglio di consultare gli organi più autorevoli in campo legislativo.

■ Radioprotezione

I rischi principali per la salute dovuti alla radiazione interessano gli effetti sul DNA che possono manifestarsi in due modi:

1. Per azione di radicali liberi prodotti dalla radiazione, cioè ioni come diversi tipi di molecole di ossigeno molto reattive che possono minacciare il normale funzionamento delle cellule e “ossidare” il DNA.

2. Per azione diretta di particelle che interagiscano direttamente ad esempio per collisione.

Questo può portare a danni di rottura dei filamenti o a modifiche chimiche nel DNA (figura 13).

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Figura 13 - A) Le possibili minacce per il DNA e B) i danni provocati dalla radiazione ai filamenti del DNA (cortesia Christopher J. Mertens).

Gli effetti principalmente causati dalla radiazione cosmica sono divisi in due categorie, quello deterministico e quello stocastico Il primo tipo si manifesta dopo poco tempo dall’esposizione, come può avvenire per astronauti in orbita durante tempeste solari. Le conseguenze sono di tipo fisico, come nausa e vomito. Il secondo tipo invece è di natura statistica ovvero, la probabilità nel corso degli anni di subire danni al DNA. Poiché non è possibile schermare la radiazione cosmica (servirebbe qualche metro di piombo), non c’è modo di proteggersi, l’unica possibilità da prendere in considerazione da chi per dovere o per scelta è sottoposto a radiazione cronica è quello di utilizzare una sorta di profilassi su due fronti: il primo è quello di utilizzare integratori che aiutino a combattere le molecole ossidanti, ovvero combattere i radicali liberi e il secondo è quello di aiutare il sistema immunitario a ricostruire le cellule (e il DNA) danneggiate.

Fanno parte degli antiossidanti i classici integratori di vitamine come l’acido ascorbico (vitamina C) il tocoferolo (vitamina E ) e il beta-carotene (vitamina A) in combinazione con il selenio ed altri micronutrienti naturali quali vari polifenoli e flavonoidi come il the verde. Anche la melatonina è una delle sostanza che ha mostrato capacità di protezione verso la radiazione e con potere antiossidante superiore a quello delle vitamine C ed E [9].

Per quanto riguarda la ricostruzione del DNA e le cellule danneggiate, il selenio sembra avere anche poteri stimolanti in questo senso così come altre sostanze vegetali come aglio mirtilli e ginseng. Il ginseng noto per le sue proprietà toniche e ricostituenti è preso seriamente in considerazione in medicina e alcuni studi dimostrano i suoi benefici effetti nei confronti del DNA danneggiato. Esistono anche alcuni farmaci mirati per combattere i danni da specifici tipi di radiazione tra cui la ben nota amifostina. Tali farmaci però sono indicati solo per esposizioni di un certo rilievo ed inoltre hanno diversi effetti collaterali. Il ginseng, sia la specie americana (panax ginseng) che quella asiatica (panax quinquefolius) oltre a non avere effetti collaterali ha mostrato un grande potere di protezione e rigenerazione. Una ricerca ha fatto esperimenti con diversi campioni di cellule animali ex vivo (prelievi in vitro) e in vivo (su cavie) somministrando l’estratto di ginseng sia prima che dopo l’esposizione dei soggetti ai raggi gamma (da cesio radioattivo); gli esperimenti hanno dimostrato una chiara diminuzione nella doppia rottura dei filamenti del DNA (figura 10) a conferma di un chiaro effetto radioprotettivo da parte del ginseng [10]. Lo studio su campioni umani (ex vivo) ha ulteriormente confermato gli stessi benefici, in particolare ha evidenziato che nei linfociti che generalmente dovrebbero riparare il DNA danneggiato, durante la radiazione la loro capacità rigenerativa viene soppressa, mentre con la somministrazione dell’estratto di ginseng riacquisiscono la loro funzionalità. Gli effetti positivi del ginseng negli esperimenti si manifestano sia che venga somministrato 24 ore prima che 90 minuti dopo l’esposizione alla radiazione e sono direttamente proporzionali al grado di concentrazione dell’estratto. La cosa più interessante è che il ginseng ha mostrato la stessa efficacia del WR1065 (il metabolita dell’amifostina) [11]. Il meccanismo di azione del ginseng non è del tutto chiaro, infatti è emerso che ha più efficacia l’estratto crudo acquoso dell’intera pianta, piuttosto che l’uso di ginsenosidi (il principio attivo principale del ginseng) isolati e purificati [10]. Malgrado la provata efficacia in vitro, non ci sono ancora stati studi in vivo su esseri umani quindi durante la somministrazione il processo digestivo e di assimilazione nell’intestino potrebbe fare diminuire in parte i benefici [11].

[1] La definizione cambia a discrezione degli autori, da SEP (solar energetic particle) a SPE (solar particle event o solar proton event) a SCR (solar cosmic rays).

[2] Alla luce dei rilevamenti delle sonde RBSP (Radiation Belt Storm Probes) della NASA, esiste in realtà una terza fascia intermedia.

Bibliografia:

[1] Christopher J. Mertens et al. - Influence of Space Weather on Aircraft Ionizing Radiation Exposure - 46th AIAA Aerospace Sciences Meeting and Exhibit 7 - 10 January 2008, Reno, Nevada.

[2] Wallace Friedberg, Kyle Copeland - Ionizing Radiation in Earth’s Atmosphere and in Space Near Earth - Civil Aerospace Medical Institute Federal Aviation Administration Oklahoma City, OK 73125, May 2011.

[3] P. Beck et al. - TEPC Reference Measurements at Aircraft Altitudes during a Solar Storm - ARC Seibersdorf research, 2444 Seibersdorf, Austria Health Physisc Division.

[4] Peter K.F. Grieder - COSMIC RAYS AT EARTH Researcher’s Reference Manual and Data Book - Elsevier 2001.

[5] Marco Arcani - Astroparticelle, in viaggio tra i Raggi Cosmici - Simple 2013.

[6] Autori vari -Le Radiazioni Cosmiche -GRUPPO ALITALIA.

[7] Marco Arcani, Cesare Guaita, Antonio Paganoni, VHANESSA expedition, Astroparticle Physics, Volume 53, January 2014, Pages 100-106, ISSN 0927-6505, http://dx.doi.org/10.1016/j.astropartphys.2013.03.005 - Elsevier.

[8] COUNCIL DIRECTIVE 96/29/EURATOM of 13 May 1996 - laying down basic safety standards for the protection of the health of workers and the general public against the dangers arising from ionizing radiation.

[9]Natural Ways to Defend Against Radiation Damage : An Exclusive Renegade Health Article Feb 2012 - http://renegadehealth.com/blog/2012/02/21/the-best-natural-ways-to-defend-against-radiation-damage.

[10] Tung-Kwang Lee et al. - Radioprotective potential of ginseng - Mutagenesis vol. 20 no. 4 pp. 237–243, 2005 Advance Access publication 14 June 2005.

[11] Tung-Kwang Lee et al. - Radioprotective Effect of American Ginseng on Human Lymphocytes at 90 Minutes Postirradiation: A Study of 40 Cases - the Journal of Alternative and Complementary Medicine volume 16, number 5, 2010, pp. 561–567.


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